'Aprimi il Culo', 'Il Sapore del tuo Seme': l’archivio del porno melodico dimenticato (e mai esistito)



Dalle labbra di Vera Luna al seme di Rossella, il progetto più geniale, volgare e filologicamente impeccabile dell’estate 2025 firmato Cantoscena.


“APRIMI IL CULO”
è un titolo che non dovrebbe circolare liberamente su TikTok. E invece è successo.

Una canzone virale, vintage, completamente inventata, che suona come Mina in acido cantata in playback da Moana Pozzi.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg chiamato Cantoscena: un progetto musicale misterioso, 100% fake, 100% geniale, che ha inventato un intero movimento culturale musicale italiano mai esistito, eppure così credibile da far cascare dentro come polli centinaia di migliaia di persone.

E goderne.


La premessa: un’operazione (post) storica

Secondo la lore ufficiale, Cantoscena è il nome attribuito (ex post) a una scena musicale underground italiana che sarebbe esistita tra la fine degli anni ’30 e i tardi ’80.

Un movimento parallelo, mai entrato nei circuiti ufficiali, composto da artiste donne che mettevano in musica testi esplicitamente erotici, suonati e arrangiati secondo i canoni melodici dell’epoca.

Un’avanguardia invisibile, repressa dal potere, oscurata dalle major, dimenticata dai libri, e ora (ri)scoperta per miracolo nel 2025.

Ovviamente: tutto falso.

Ma curato in ogni dettaglio con una credibilità documentaristica da premio UBU.

Vera Luna – Aprimi il culo (1967)

Il primo “ritrovamento” è di quelli che non si dimenticano.

Con una voce potente, teatrale, e un arrangiamento orchestrale da Sanremo 1967, Vera Luna (pseudonimo di tale Silvana Zanrosso), cantante trevigiana secondo la mitologia ufficiale, chiede senza giri di parole un amplesso anale.

Lo fa con pathos, classe e un senso melodico impeccabile.

Una ballata da Sanremo censurato, cantata come se Mina si fosse rotta i coglioni e avesse deciso di registrare una lettera d’amore anale con l’arrangiamento orchestrale di Se telefonando.

Aprimi il culo, sfonda il mio cuore / non mi serve un principe azzurro, io voglio il tuo membro duro.

Il contrasto tra forma e contenuto è totale, eppure armonico.

È porno vintage travestito da canzone d’amore, con tutto l’armamentario retorico del melodramma sanremese: la sofferenza, il desiderio, la supplica, l’amore carnale travolgente.

Se Mina avesse cantato Bukowski, probabilmente il risultato sarebbe stato questo.


Rossella – Il Sapore del Tuo Seme (1985) 

Il secondo “recupero” dal catalogo Cantoscena è una bomba eurodance con dentro tutta la Romagna sudata degli anni ’80.

Rossella (alias Rosalba Donfanti), ritiratasi nel viterbese secondo la leggenda, canta una dichiarazione d’amore al liquido seminale del proprio partner.

Non c’è ironia. C’è solo sincerità esplicita, ma detta con dolcezza pop.

Non voglio perdermi una goccia / non lo voglio sul mio viso / ma tutto giù nella mia gola / è come una droga, sa di paradiso

Il testo è un climax gastro-erotico che unisce pornografia orale, metafore vinicole e un gusto da pop da parrucchiera anni ’80.

Il ritornello? Impossibile da dimenticare. 

Una preghiera laica al piacere maschile, cantata con devozione quasi religiosa. 


Cantoscena è AI? Sì. Ma non solo


Tutti gli indizi portano lì: voci sintetizzate, testi generati, audio restaurati troppo bene, biografie costruite come pagine Wikipedia riscritte da uno che ha studiato archivistica all’Accademia delle Belle Arti di Carrara.

Ma il punto non è solo l’uso dell’intelligenza artificiale.
Il punto è l’intelligenza culturale del progetto.

Cantoscena è:

  • un’operazione di meta-narrazione musicale
  • una satira sull’industria discografica italiana e le sue censure
  • una trollata artistica raffinata

e al tempo stesso un nuovo modo di creare immaginari musicali post-umani
(dove la nostalgia incontra il porno e la canzone d’autore, senza vergogna)

In un’epoca in cui i tormentoni estivi sono sempre più intercambiabili, “Aprimi il culo” e “Il Sapore del Tuo Seme” spiccano per paradosso: sono volgari ma eleganti, trash ma raffinati, falsi ma veri.

E soprattutto: fanno ridere, ma lasciano anche un certo stupore.

Perché alla fine, nella loro assurdità, queste canzoni funzionano davvero.


Ma qualcosa, in fondo, era vero


Cantoscena
sarà pure una bugia costruita al dettaglio, ma non nasce dal nulla.

Perché un proto-movimento porno-pop all’italiana è davvero esistito, anche se mai riconosciuto come tale.

Parliamo di artiste come Maria Sole, poetessa-cantante-performance vivente e mitologica, che negli anni ’70 e ’80 scriveva brani come “Ho il sesso pronto, pronto e il seno gonfio, gonfio” o “Pelo Potere”, tra femminismo militante, mistica del corpo e delirio post-situazionista.

Oppure di perle ironiche come “Finalmente ho comprato l’uccello” di Marina, trash erotico pre-sanitizzato travestito da filastrocca radiofonica.

O ancora di Cicciolina, che nel 1987 canta Muscolo Rosso: un inno pop alla penetrazione anale con tanto di coreografia da finta baby-doll e arrangiamenti dance zuccherosi. Il tutto mentre sedeva in Parlamento.

Erano episodi isolati, certo. Marginali, autoprodotti, spesso confinati nei teatri off, nei collettivi femministi, o nei vinili a tiratura limitata in circolazione tra Bologna e Milano.

Ma l’intuizione c’era già: il corpo come atto politico, l’erotismo come linguaggio artistico, il kitsch come strumento di ribellione.

E oggi, attraverso l’AI, il meme e la reinvenzione digitale, tutto questo ritorna, più vero del vero.

Perché alla fine, tra un culo aperto e un seme ingoiato con amore, forse Cantoscena non è mai esistito. O forse è sempre stato lì, solo che nessuno lo ha mai ascoltato davvero.