Antonio Andrea Pinna e le Oche Spennate: cronaca di una truffa wannamarchiana



Antonio Andrea Pinna, una volta idolo social da centinaia di migliaia di follower, opinionista sarcastico prestato al marketing e vincitore dell’edizione 2015 di Pechino Express, oggi è letteralmente sparito dai radar. 

E non per scelta esistenziale. O meglio, non solo.

L’ultima apparizione pubblica risale al 6 maggio 2025: da allora, il suo profilo Instagram risulta abbandonato. Ma chi prova a commentare i vecchi post definendolo “truffatore”, scopre che i commenti spariscono nel nulla. Lui, nel frattempo, dice che “gliel’hanno hackerato”.

Che tempismo.


Le “borse di lusso con piccoli difetti impercettibili”


Negli ultimi due anni, Pinna aveva reinventato se stesso come personal luxury dealer nel deep web dei social: gruppi Telegram e WhatsApp con nomi surreali (Le Oche Spennate, Ochette alla rinfusa) in cui vendeva a follower entusiaste borse Chanel, Gucci & Co.
A prezzi stracciati.
La spiegazione? Sarebbero “scarti di fabbrica originali”, con piccoli difetti invisibili ai comuni mortali. 

Merce pazzesca, amore, nessuno potrà mai certificare il contrario
diceva.

Spoiler: possono eccome.

Una 'Louis Vuitton' venduta da Pinna:


Molte delle 45 clienti (con età media tra i 30 e i 60 anni) che MOWMag ha contattato, raccontano infatti una storia molto diversa: oggetti arrivati dopo mesi, e quando arrivavano erano “chincaglieria da discount”, buste farlocche, cuciture sbilenche, loghi sbagliati, zip rotte, odore di plastica cinese da bancarella del mercato di Dolianova. Altre non hanno mai ricevuto nulla. 


Pagamenti tra “amici e parenti” (letteralmente)


Perché queste donne non hanno potuto nemmeno chiedere il rimborso tramite PayPal? Perché Pinna chiedeva di pagare usando la formula “amici/parenti”, per evitare l’IVA.

Perché se no ti devo aggiungere il 21%, amore, conviene a tutti e due, no?
si sente in uno dei vocali condivisi con la stampa.

Un sistema pensato per non lasciare tracce e per evitare la protezione clienti prevista da PayPal per le transazioni commerciali. I pagamenti, inoltre, non dovevano essere intestati a lui: venivano girati a presunti “collaboratori” senza alcun profilo pubblico. Uno di questi? Tal Eugenio Piras.
Curiosamente, lo stesso nome di un personaggio contenuto in un romanzo scritto dallo stesso Pinna.

Un caso? Forse. O forse il colpo di teatro di un influencer in declino che, da autore di frasi da Bacio Perugina, è passato a scrivere trame alla Breaking Bad con le shopper tarocche.


“Mi avete fatto venire le emorroidi!”


Prima di scomparire del tutto, Pinna ha registrato un ultimo vocale indirizzato alle sue “oche”:

Smettetela di commentare i miei post su Instagram dandomi del truffatore! Per lo stress mi è venuta la dermatite sulla fronte… e pure le emorroidi!

Ci permettiamo di dire: Wanna Marchi l’avrebbe detto decisamente meglio

Per settimane ha continuato a giustificare ritardi nelle consegne con lunghi vocali pieni di scuse, richiami al suo disturbo bipolare e alla depressione:

Non voglio farmi fermare dalla mia malattia, lo sai, ma nelle ultime due settimane sono stato colpito da una depressione con mal di testa, un vero e proprio esaurimento… la tua borsa comunque è in volo, amore

Una delle acquirenti racconta che Pinna, in call a metà giugno, le avrebbe detto di trovarsi "nel giardino della clinica in cui sono ricoverato", ma già pronto per lanciare da settembre un nuovo business di creme di bellezza. Perché dopo le borse contraffatte, il passo successivo è chiaramente l’acido ialuronico.

Silenzio di tomba (con bonifico a mamma)


Chi ha provato a contattarlo nelle ultime settimane ha trovato solo silenzi.
Stessa cosa per i “presunti collaboratori”, compresa sua madre Annamaria, citata più volte come beneficiaria dei bonifici. Nessuna risposta.
L’unico che ha detto qualcosa? Un rivenditore cinese, interpellato da alcune clienti per capire da dove arrivassero le borse:

Pinna mi ha ingannato gravemente. Non voglio più saperne nulla

Un'amara conferma che la "merce pazzesca" promessa era tarocca. Erano borse Aliexpress Edition.


“Rivolgetevi pure agli avvocati”: la nota audio che smaschera tutto


Prima di eclissarsi, Antonio Andrea Pinna ha lasciato un messaggio vocale agghiacciante, pubblicato integralmente da Sambruna.
Niente più “mi dispiace”, niente crisi, niente fragilità. Solo una freddezza glaciale, che sa di minaccia:

Vi informo che io di soldi non ne ho, sono nullatenente, non possiedo nemmeno una macchina, un mobile, niente. Vi conviene che io continui a lavorare, così magari potrò restituirvi quanto avete speso. Altrimenti, rivolgetevi pure agli avvocati. Staremo in causa per anni, magari pure 17 come è successo a mia mamma per un rimborso, e finirete per spendere molto di più rispetto a quanto mi avete dato. Senza ricavarci alcunché, i miei legali mi hanno già tranquillizzato

Un messaggio che trasforma definitivamente il caso in qualcosa di più torbido.

Non più una truffa emotiva. Non solo una truffa commerciale. Ma un vero e proprio sistema intimidatorio, in stile Wanna Marchi, senza nemmeno la teatralità folkloristica a salvarlo. 


“Gli volevo bene. Mi sembrava un amico.”


Una delle donne truffate racconta, tra i singhiozzi:

Gli volevo bene. L’ho visto in quel video dove raccontava la malattia, e mi ha toccato. Gli ho dato fiducia, volevo solo aiutarlo. Mi sembrava l’amico che tutte vorremmo avere

Il problema è che stavolta l’amico gay che tutte vorrebbero avere ti ha alleggerito il conto corrente, poi ti ha bloccata su WhatsApp e si è dato alla macchia con una scusa che neanche Wanna Marchi nei giorni peggiori

E ancora una volta si conferma il classico pattern del gay social-mediatico amato solo da un’armata di donne etero soverchiate da problematiche personali non meglio identificate, disposte a credere ciecamente anche quando le prove dicono altro.

Tipo che “la borsa sta arrivando, amore”, mentre lui ti manda vocali piangendo per l'eczema e le emorroidi.


Il redento immaginario: come Pinna ha trasformato il vizio in brand (e poi in alibi)

La costruzione del personaggio del "sopravvissuto" non nasce oggi. Dopo la fama di "Pechino Express", la sua stella si era offuscata. Fino al video-confessione che, un paio di anni fa, divenne virale. In quel video, Pinna annunciava il ritorno in Sardegna per curare un disturbo bipolare, raccontando di TSO, tentativi di suicidio e, dettaglio cruciale, di aver "buttato tutti i soldi in sostanze ed eccessi".

Una confessione choc, ma anche una mossa mediatica perfetta. Ha generato un'ondata di empatia che gli ha permesso di conservare un vasto seguito. Ma per chi, lo conosceva negli ambienti cagliaritani, l'ammissione non suonava come una novità, ma come la prima volta che quel lato oscuro veniva "brandizzato" e messo a frutto.

Vista sotto questa luce, la truffa delle borse non sembra più un incidente di percorso, ma l'evoluzione logica di un problema mai risolto. Un vizio, quello per gli "eccessi", che forse non è mai sparito, ma che ha semplicemente cambiato fonte di finanziamento: prima i suoi soldi, ora quelli delle "oche spennate".

La fragilità, prima usata per vendere libri e generare like, è diventata l'alibi perfetto per giustificare ritardi, incassare pagamenti e manipolare persone che credevano di aiutare un amico in difficoltà. Non stavano comprando una borsa, pensavano di comprare un pezzetto della sua salvezza.


Pinna vs Ferragni: quando la truffa è più piccola, ma più crudele


C’è chi ha paragonato questo caso al Balocco-gate di Chiara Ferragni, ma il confronto regge solo fino a un certo punto.
Per quanto il danno economico della truffa di Antonio Andrea Pinna sia molto inferiore (circa 25.000 euro contro centinaia di migliaia), la natura stessa della vicenda è molto più disturbante.

Nel caso Ferragni, per quanto ci sia stata goffaggine, cinismo e ipocrisia imprenditoriale, il tutto si è svolto all’interno di un contesto aziendale, con filtri legali e comunicativi. L’alibi dell’“errore di comunicazione”, per quanto debole, è servito a incartare il tutto nella confezione della crisi di reputazione.

Nel caso Pinna, invece, c'è una regia individuale, intima, manipolatoria. Non c’è un'azienda dietro: c’è lui. Un singolo uomo, che:
  • ha chiesto pagamenti non tracciabili e intestati ad altri,
  • ha inventato presunti collaboratori (alcuni forse fittizi),
  • ha attivato numeri multipli per confondere le acquirenti,
  • ha venduto merce spacciata per originale quando non lo era,
e ha giocato costantemente la carta della malattia mentale per frenare critiche e giustificare ritardi.

Il danno non è solo economico. È emotivo e relazionale. Le sue clienti non sono semplici consumatrici: molte di loro raccontano di averlo sostenuto in un momento difficile, di aver creduto in lui, di essersi sentite amiche. Alcune hanno pianto al telefono con lui. Altre si sono sentite colpevoli nel chiedere un rimborso, per non "stressarlo troppo".

Ferragni ha deluso dei consumatori.
Pinna ha tradito delle persone.

È questo che rende la truffa più piccola, ma anche più crudele.