Dieci anni. Nel mondo iper-veloce del pop, un decennio senza un nuovo album può significare l'oblio. Ma non per Ryn Weaver.
A dieci anni esatti dal suo debutto con The Fool nel giugno 2015, la cantante è tornata con il nuovo singolo, Odin St, e ha trovato ad aspettarla non le ceneri di una carriera mancata, una setta di fedelissimi che se n'è sempre fottuta del mercato. La lealtà dei suoi oltre 600.000 ascoltatori mensili su Spotify è la prova di un legame raro. In un mondo che consuma e dimentica, perché un'artista con un solo album all'attivo è diventata un'icona?
Con la sua "OctaHate", un gioiello di pop alternativo dell'estate del 2014, sembrava destinata a un'ascesa inesorabile. Eppure, dietro quella promessa si celava già un conflitto che avrebbe definito e, infine, congelato la sua carriera per un decennio: lo scontro tra una visione artistica senza compromessi e le rigide logiche dell'industria. Una storia di attesa e di silenzio che, oggi, si trasforma in un racconto di rinascita.
"OctaHate" e il conflitto delle visioni
Spoiler: se sei una donna con idee forti e gusti cinematografici che vanno oltre Netflix, l’industria musicale mainstream ti guarda come se avessi proposto di girare un video con le galline. E a volte è esattamente quello che serve.
La storia di Ryn Weaver non può essere compresa senza partire dalla vicenda, tanto insolita quanto rivelatrice, dei due video musicali di "OctaHate".
Il primo video? Una patinata produzione pop, confezionata per piacere a tutti e dire nulla. Il secondo? Un trip visivo ispirato a Le margheritine, con due anarchiche che devastano tavolate borghesi. Indovinate quale ha scelto Ryn... era il primo atto di ribellione artistica, e non sarebbe stato l’ultimo.
La spiegazione di questa mossa anomala arrivò dall'artista stessa. In un'intervista con il New York Magazine, Weaver rivelò il suo disappunto per il primo video, sostenendo che non era stato realizzato come voleva e che sentiva il bisogno che il pubblico comprendesse la sua "visione coesa". Per questo, decise di creare un secondo video ispirato al film femminista e d'avanguardia del 1966 "Le margheritine" (Daisies), affermando:
Abbiamo preso una pagina da questo film ceco degli anni '60... un'opera femminista e assurdista. In una scena, le protagoniste dicono che il mondo intero è viziato e che, di conseguenza, anche loro dovrebbero viziarsi
Una dichiarazione d'intenti che fu il primo, palese segnale di un'integrità artistica non disposta a compromessi.
Dall'album al lungo silenzio
Nonostante le frizioni, l'album di debutto The Fool (2015) confermò il talento di Ryn Weaver, con la produzione di Benny Blanco e Michael Angelakos a definire un sound unico. Il disco mostrava le due anime dell'artista: l'esplosività pop di "OctaHate" e la vulnerabilità atmosferica di brani come Promises, che connetteva con una parte del suo pubblico a un livello più profondo.
Dopo l'album, però, calò un lungo silenzio. Ryn si trovò intrappolata in un limbo contrattuale con la sua etichetta, Interscope, che le ha impedito per anni di pubblicare nuova musica. La beffa finale è arrivata nel 2021, quando la sua canzone "Pierre" è diventata virale su TikTok.
Una vittoria agrodolce, poiché a causa del suo debito non saldato con la label, tutti i profitti generati dalla "nuova vita" della canzone stavano andando all'etichetta, senza che lei guadagnasse nulla. La sua storia riecheggia quella di altre artiste come Sky Ferreira, confermando l'esistenza di un tritacarne industriale che può facilmente bloccare un talento invece di coltivarlo.
La sua creatività, nel frattempo, trovava sbocchi anche al di fuori del suo progetto principale. Ha co-scritto il brano Let Me Know per Winona Oak e, nel 2018, ha pubblicato una demo, Reasons Not to Die, con la Neon Gold Records, dimostrando una vitalità artistica che cercava canali alternativi per esprimersi.
Le ragioni dell'abbandono: "Vedere come viene prodotta la salsiccia"
Ma cosa ha spinto Weaver ad allontanarsi, oltre al limbo contrattuale? La risposta è un quadro complesso fatto di pressioni artistiche, disillusione e un profondo bisogno di ritrovare se stessa. Il fattore principale fu la perdita di controllo artistico. Racconta di aver incontrato produttori che volevano solo una "OctaHate 2.0", mentre lei cercava di evolversi. Si sentiva intrappolata, fornendo un esempio concreto e potente: "Non sono stata davvero incoraggiata a cantare in un registro più basso nel primo disco". La sua voce profonda, che oggi abbraccia in Odin St, all'epoca era vista come un difetto da correggere per rientrare in canoni più commerciali.
A questo si aggiunse la disillusione verso l'industria, un ambiente che definisce "tossico", specialmente nel clima "pre-MeToo", dove "le donne venivano messe l'una contro l'altra". Vedere "come viene prodotta la salsiccia", per usare la sua metafora, l'ha turbata profondamente. Infine, la sua ascesa fulminea non le aveva dato il tempo di capire chi fosse come persona. Per ritrovare il suo centro, si è presa una pausa radicale dalla sua identità di artista: ha seguito un percorso di terapia e ha persino lavorato come cameriera, un modo per riconnettersi con una realtà lontana dai riflettori e capire chi fosse al di là della musica. Sì, cameriera. Altro che retreat in Bali o podcast sul benessere: qui si parla di riconnessione vera, coi piatti da lavare e le mance tirchie. La sua determinazione è racchiusa in una frase:
Mantenere l'autonomia era importante per me. Non voglio cedere il mio potere
Il ritorno dell'icona
Ma cosa resta, oggi, di quella magia? La produzione di Odin St è più spigolosa, forse meno immediatamente celestiale rispetto agli esordi, ma ascoltando attentamente, la scintilla è inconfondibilmente la stessa.
C'è il trillo unico nella sua voce, c'è quell'energia inquieta e vibrante che ci aveva conquistati, ma c'è anche una nuova durezza, una cautela data dal tempo e dall'esperienza. Odin St non è tanto una risposta, quanto una promessa: l'artista che ha stregato una generazione dieci anni fa è ancora qui, e sta solo iniziando.
Il brano prende il nome dalla via delle Hollywood Hills in cui viveva dopo il suo primo album, collegando passato e presente. "Sento che il primo disco era questa cosa molto romantica, teatrale, drammatica... Questo disco, per me, è una specie di negativo fotografico di quello", afferma Ryn, aggiungendo: "Mi è sembrato speciale per il decimo anniversario di The Fool, perché puoi vedere The Fool come un ciclo che si ripete, ed è una fuga... E io sono davvero fuggita nella mia casa su Odin St. Cronologicamente, è esattamente da dove avevo interrotto".
Un cerchio che finalmente si chiude, ma questa volta alle sue condizioni. Welcome back, Ryn. Ci sei mancata anche quando non sapevamo come dirtelo.